pirex
2011-02-07 21:16:24 UTC
Domenica 6 febbraio
Non dite bunga bunga agli africani
Maurizio Maggiani
07 febbraio 2011
UN MIO AMICO, un importante imprenditore nel settore delle
infrastrutture, mi ha raccontato il seguente fatterello
accadutogli la scorsa settimana.
Nell’ambito della firma dell’accordo per la costruzione di un
importante complesso sanitario nella Repubblica del Senegal,
lui e i suoi collaboratori si erano trovati assieme alla
delegazione governativa ad attendere per più di un’ora
l’arrivo del ministro competente.
Tesi e preoccupati, hanno chiesto all’alto funzionario
responsabile tecnico se ci fossero stati imprevisti problemi
per la conclusione dell’affare. Il funzionario li ha
rassicurati e ha chiesto scusa a nome del ministro, spiegando
che la sua segretaria era intrappolata in un ingorgo
stradale, e il ministro non faceva nulla senza la sua
segretaria, che lo seguiva costantemente in ogni sua
attività.
Il mio amico, per alleggerire la tensione, con tono
scherzoso commenta:
Sempre? Giorno e notte?
L’alto funzionario risponde perentorio:
no, il ministro non si chiama Silvio Berlusconi, ha un altro
patronimico e altro nome, come lei deve sapere.
Mi ha raccontato il mio amico di aver provato, lì, nel cuore
dell’Africa, un senso di vergogna intollerabile.
Non vergogna per il suo primo ministro o per il suo Paese, mi
dice che è abituato da un pezzo ai lazzi dei suoi colleghi di
tutto il mondo sullo stato morale e sessuale dell’Italia, ma
vergogna di se stesso.
Vergogna per essere stato colto in flagranza di cattivo,
pessimo gusto.
Vergogna per aver applicato al resto del mondo lo standard
italiano.
No, dice l’amico, altrove non è ammissibile quello che noi
abbiamo accettato come nostro modo di essere e di
relazionarci.
Vergogna per essersi scoperto razzista, o comunque di avere
un preconcetto negativo nei confronti degli africani con cui
faceva da tempo buoni affari;
perché, ripensandoci, quella sua battuta non si sarebbe
sognato di farla in Svezia o in Germania.
E mi ha fatto male, ha concluso, sentirmi rimproverare da un
africano ancor più che l’avesse fatto uno svedese.
La parte interessante di questa storia è proprio qui:
in questo tempo noi, l’Italia e gli italiani, non sono come
il resto del mondo.
Perlomeno non con il resto del mondo con cui vogliamo o
dobbiamo relazionarci, con cui è vantaggioso, utile e
interessante rapportarci.
A questo riguardo possono pensarla diversamente solo i
praticanti del turismo sessuale;
sì, per loro può venir facile e divertente e utile fare
battute all’italiana.
Dico noi, non dico il nostro primo ministro.
Posso ben immaginare che nel mondo, se non in Europa almeno
in Africa e in Asia, ce ne siano altri di presidenti e primi
ministri con gli stessi gusti, costumi e modi e politiche, ma
altrove la triste cosa non è assunta come stile nazionale, e
piuttosto che con acquiescenza, le losche o immorali vicende
dei potenti locali sono vissute con imbarazzato riserbo.
Allo stesso modo di quelle degli altri Paesi.
Sono grato ai miei interlocutori inglesi, tedeschi,
francesi, danesi, marocchini, siriani, per la decenza con cui
si astengono dal fare battute sul mio Paese e su di me, e
sono loro ancor più grato perché non mi intrattengono con il
resoconto delle trasmissioni di satira televisiva che hanno
come oggetto il mio Paese e il mio primo ministro, che pure
furoreggiano nelle loro emittenti.
Cionondimeno, e anche in virtù delle loro pudiche reticenze,
mi rendo perfettamente conto di come il cosiddetto
pregiudizio antitaliano si va in questi giorni consolidando
in tutto il globo.
E non mi sento di obbiettarvi in nessun modo efficace.
È una storia che va avanti da almeno cinque secoli, da quando
Italia e italiani sono diventate entità concettuali diffuse.
Ma forse che non siamo come ci dipingono?
Il nostro non è un Paese anonimo e, menchemeno, normale.
Diamo nell’occhio, e, per gran parte della nostra storia non
per i preziosi doni che abbiamo offerto all’umanità.
I nomi degli italiani più ammirati nel mondo sono stati Dante
Alighieri e Giuseppe Garibaldi, il più grande tra i poeti, il
più coraggioso e integro tra i rivoluzionari.
Forse vuol dire qualcosa che si tratta di due condannati a
morte dal potere costituito del loro tempo a causa delle loro
idee, ma il punto è:
di cosa oggi ci è grato il mondo in virtù di chi vive e
agisce da italiano?
Da quanto tempo non nasce un Dante o un Garibaldi?
E ogni quanti secoli ne diamo alla luce uno?
E nel mezzo, nel corso dei secoli, chi siamo agli occhi del
mondo?
Oudinot pensò di prendersi la Repubblica Romana in un giorno
perché “gli italiani non si battono”.
Non ci riuscì perché in quell’occasione, così nobile e
disperata, gli italiani si batterono fino all’ultimo sangue.
Ma gli italiani, gli stessi progenitori dei romani che
morirono per difendere la loro repubblica, non mossero un
dito per frenare le indecenti ruberie e le rivoltanti
immoralità del loro papa re Innocenzo VIII e dei suoi figli,
o le immonde perversioni sessuali di Alessandro VI e dei suoi
figli.
I romani ci facevano su le battute e aspettavano pazienti le
regalie promesse per il carnevale.
Eccetera, eccetera.
Con la guerra di Resistenza abbiamo riscattato al cospetto
delle altre nazioni l’ignominia del fascismo, ma per
vent’anni l’intero Paese è stato in adorazione del “fallo più
grosso ed eretto della nazione”, l’ossessivo messaggio che il
dittatore emanava quotidianamente per stringere a sé un
popolo femmina.
Questo per sua stessa acuta considerazione.
http://www.ilsecoloxix.it/p/italia/2011/02/07/AN5gmEiE-bunga_africani_bunga.shtml
http://it.wikipedia.org/wiki/Maurizio_Maggiani
http://www.mauriziomaggiani.it/index.php?id=355
Non dite bunga bunga agli africani
Maurizio Maggiani
07 febbraio 2011
UN MIO AMICO, un importante imprenditore nel settore delle
infrastrutture, mi ha raccontato il seguente fatterello
accadutogli la scorsa settimana.
Nell’ambito della firma dell’accordo per la costruzione di un
importante complesso sanitario nella Repubblica del Senegal,
lui e i suoi collaboratori si erano trovati assieme alla
delegazione governativa ad attendere per più di un’ora
l’arrivo del ministro competente.
Tesi e preoccupati, hanno chiesto all’alto funzionario
responsabile tecnico se ci fossero stati imprevisti problemi
per la conclusione dell’affare. Il funzionario li ha
rassicurati e ha chiesto scusa a nome del ministro, spiegando
che la sua segretaria era intrappolata in un ingorgo
stradale, e il ministro non faceva nulla senza la sua
segretaria, che lo seguiva costantemente in ogni sua
attività.
Il mio amico, per alleggerire la tensione, con tono
scherzoso commenta:
Sempre? Giorno e notte?
L’alto funzionario risponde perentorio:
no, il ministro non si chiama Silvio Berlusconi, ha un altro
patronimico e altro nome, come lei deve sapere.
Mi ha raccontato il mio amico di aver provato, lì, nel cuore
dell’Africa, un senso di vergogna intollerabile.
Non vergogna per il suo primo ministro o per il suo Paese, mi
dice che è abituato da un pezzo ai lazzi dei suoi colleghi di
tutto il mondo sullo stato morale e sessuale dell’Italia, ma
vergogna di se stesso.
Vergogna per essere stato colto in flagranza di cattivo,
pessimo gusto.
Vergogna per aver applicato al resto del mondo lo standard
italiano.
No, dice l’amico, altrove non è ammissibile quello che noi
abbiamo accettato come nostro modo di essere e di
relazionarci.
Vergogna per essersi scoperto razzista, o comunque di avere
un preconcetto negativo nei confronti degli africani con cui
faceva da tempo buoni affari;
perché, ripensandoci, quella sua battuta non si sarebbe
sognato di farla in Svezia o in Germania.
E mi ha fatto male, ha concluso, sentirmi rimproverare da un
africano ancor più che l’avesse fatto uno svedese.
La parte interessante di questa storia è proprio qui:
in questo tempo noi, l’Italia e gli italiani, non sono come
il resto del mondo.
Perlomeno non con il resto del mondo con cui vogliamo o
dobbiamo relazionarci, con cui è vantaggioso, utile e
interessante rapportarci.
A questo riguardo possono pensarla diversamente solo i
praticanti del turismo sessuale;
sì, per loro può venir facile e divertente e utile fare
battute all’italiana.
Dico noi, non dico il nostro primo ministro.
Posso ben immaginare che nel mondo, se non in Europa almeno
in Africa e in Asia, ce ne siano altri di presidenti e primi
ministri con gli stessi gusti, costumi e modi e politiche, ma
altrove la triste cosa non è assunta come stile nazionale, e
piuttosto che con acquiescenza, le losche o immorali vicende
dei potenti locali sono vissute con imbarazzato riserbo.
Allo stesso modo di quelle degli altri Paesi.
Sono grato ai miei interlocutori inglesi, tedeschi,
francesi, danesi, marocchini, siriani, per la decenza con cui
si astengono dal fare battute sul mio Paese e su di me, e
sono loro ancor più grato perché non mi intrattengono con il
resoconto delle trasmissioni di satira televisiva che hanno
come oggetto il mio Paese e il mio primo ministro, che pure
furoreggiano nelle loro emittenti.
Cionondimeno, e anche in virtù delle loro pudiche reticenze,
mi rendo perfettamente conto di come il cosiddetto
pregiudizio antitaliano si va in questi giorni consolidando
in tutto il globo.
E non mi sento di obbiettarvi in nessun modo efficace.
È una storia che va avanti da almeno cinque secoli, da quando
Italia e italiani sono diventate entità concettuali diffuse.
Ma forse che non siamo come ci dipingono?
Il nostro non è un Paese anonimo e, menchemeno, normale.
Diamo nell’occhio, e, per gran parte della nostra storia non
per i preziosi doni che abbiamo offerto all’umanità.
I nomi degli italiani più ammirati nel mondo sono stati Dante
Alighieri e Giuseppe Garibaldi, il più grande tra i poeti, il
più coraggioso e integro tra i rivoluzionari.
Forse vuol dire qualcosa che si tratta di due condannati a
morte dal potere costituito del loro tempo a causa delle loro
idee, ma il punto è:
di cosa oggi ci è grato il mondo in virtù di chi vive e
agisce da italiano?
Da quanto tempo non nasce un Dante o un Garibaldi?
E ogni quanti secoli ne diamo alla luce uno?
E nel mezzo, nel corso dei secoli, chi siamo agli occhi del
mondo?
Oudinot pensò di prendersi la Repubblica Romana in un giorno
perché “gli italiani non si battono”.
Non ci riuscì perché in quell’occasione, così nobile e
disperata, gli italiani si batterono fino all’ultimo sangue.
Ma gli italiani, gli stessi progenitori dei romani che
morirono per difendere la loro repubblica, non mossero un
dito per frenare le indecenti ruberie e le rivoltanti
immoralità del loro papa re Innocenzo VIII e dei suoi figli,
o le immonde perversioni sessuali di Alessandro VI e dei suoi
figli.
I romani ci facevano su le battute e aspettavano pazienti le
regalie promesse per il carnevale.
Eccetera, eccetera.
Con la guerra di Resistenza abbiamo riscattato al cospetto
delle altre nazioni l’ignominia del fascismo, ma per
vent’anni l’intero Paese è stato in adorazione del “fallo più
grosso ed eretto della nazione”, l’ossessivo messaggio che il
dittatore emanava quotidianamente per stringere a sé un
popolo femmina.
Questo per sua stessa acuta considerazione.
http://www.ilsecoloxix.it/p/italia/2011/02/07/AN5gmEiE-bunga_africani_bunga.shtml
http://it.wikipedia.org/wiki/Maurizio_Maggiani
http://www.mauriziomaggiani.it/index.php?id=355
--
"Cavalier Pompetta, cafone, fatti processare!"
http://violapost.files.wordpress.com/2011/01/intercettazioni1.pdf
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