ivanatwork
2010-09-15 07:49:56 UTC
«Abbiamo avvertito i pescatori che i militari erano pronti ad aprire il
fuoco»
I libici mitragliavano. E i nostri
finanzieri erano scesi sottocoperta
Obbligati dagli accordi a lasciare il ponte della nave
«Abbiamo avvertito i pescatori che i militari erano pronti ad aprire il
fuoco»
I libici mitragliavano. E i nostri
finanzieri erano scesi sottocoperta
Obbligati dagli accordi a lasciare il ponte della nave
Quando i libici hanno cominciato a sparare contro il peschereccio
«Ariete» i militari della Guardia di finanza sono scesi sottocoperta. È
l’incredibile dettaglio che emerge dai primi atti raccolti dai
funzionari del Viminale incaricati di svolgere accertamenti per capire
che cosa sia davvero accaduto domenica pomeriggio e stabilire se le
procedure siano state rispettate. Mentre dalla motovedetta partiva la
sventagliata, i finanzieri sono dovuti uscire di scena perché questo
prevede l’accordo firmato dai due Paesi. Non solo. Il trattato assegna
loro compiti di «supporto e addestramento». E vieta che possano
«eseguire controlli sui mezzi navali individuati » e impone che salgano
a bordo «in abiti civili, scevri da ogni segno distintivo».
Attraverso gli ufficiali di collegamento che si trovano a Tripoli, la
commissione guidata dal prefetto Rodolfo Ronconi ha acquisito le
testimonianze dei due sottufficiali che insieme ai quattro «tecnici»
erano sulla motovedetta. Secondo il loro racconto «il motopesca è stato
avvistato a 30 miglia dalla costa verso le 18 e subito gli è stato
intimato di fermarsi». «Ariete» non ha obbedito all’ordine e anzi ha
cercato di allontanarsi il più possibile. I libici hanno dunque deciso
di insistere e di mettersi all’inseguimento. «Il primo avviso - hanno
dichiarato i militari italiani - è stato inviato con messaggi acustici,
il secondo via radio in lingua inglese, il terzo con messaggi ottici». È
a questo punto che uno dei finanzieri avrebbe deciso di avvisare il
comandante di «Ariete» — ancora una volta via radio—delle inevitabili
conseguenze. «Quando ci siamo resi conto che non avevano intenzioni di
fermarsi — avrebbe spiegato il finanziere — abbiamo deciso di avvertirli
che i libici erano determinati a fare fuoco. I militari che erano con
noi a bordo della motovedetta erano pronti ed è stato in quel momento,
cioè quando sono partiti gli spari ad altezza di scafo, che siamo scesi
sottocoperta». Secondo la versione fornita dai libici «il comandante
della motovedetta ha deciso di intervenire tentando l’abbordaggio perché
gli occupanti del peschereccio stavano commettendo un reato: erano
entrati in acque internazionali per la pesca di frodo». È proprio questa
la violazione più evidente del trattato bilaterale visto che più volte
nel testo si ribadisce come il «pattugliamento marittimo viene
effettuato ai fini di contrastare l’immigrazione clandestina». Non c’è
alcuna deroga, non è possibile intervenire se non per effettuare
attività di «controllo, ricerca e salvataggio».
Libia, i colpi sul peschereccio italiano
Già questa mattina il capo della polizia Antonio Manganelli dovrebbe
riferire al ministro dell’Interno i primi risultati dell’indagine
amministrativa. L’intesa italo- libica specifica che «gli italiani in
missione sono sottoposti alle leggi del Paese ospitante e non possono
essere chiamati a rispondere di quanto commesso da altri ». E questo
porterebbe ad escludere che i finanzieri possano essere indagati per un
eventuale favoreggiamento nel reato di tentato omicidio ipotizzato dalla
procura di Agrigento. Rimane però il problema delle regole di ingaggio e
dunque del ruolo che è stato loro assegnato.
In queste ore la Farnesina ha ribadito la necessità di chiarire in
maniera netta come le motovedette debbano essere utilizzate soltanto
nell’attività legata all’immigrazione clandestina. Un modo per evitare
eventuali contestazioni in sede europea riguardo alle violazioni sui
trattati relativi alla pesca, ma anche alla definizione delle frontiere
marittime. Discorso più complesso riguarda i compiti assegnati ai
finanzieri che salgono a bordo.
Il Viminale non appare propenso a modificare lo status di «osservatori
e addestratori» per evitare che poi si possa chiedere ai nostri militari
di avere un ruolo operativo durante le attività effettuate in mare,
comprese quelle di respingimento che avvengono in acque internazionali.
Ma è lo stesso prefetto Manganelli a chiarire che «una decisione sarà
presa al termine degli accertamenti in corso». E chissà se già questa
sera se ne parlerà durante il ricevimento organizzato all’ambasciata
libica per festeggiare l’anniversario della Rivoluzione che nel 1969 ha
portato Gheddafi al potere che vede tra gli invitati numerosi esponenti
delle istituzioni italiane.
Fiorenza Sarzanini
15 settembre 2010
fuoco»
I libici mitragliavano. E i nostri
finanzieri erano scesi sottocoperta
Obbligati dagli accordi a lasciare il ponte della nave
«Abbiamo avvertito i pescatori che i militari erano pronti ad aprire il
fuoco»
I libici mitragliavano. E i nostri
finanzieri erano scesi sottocoperta
Obbligati dagli accordi a lasciare il ponte della nave
Quando i libici hanno cominciato a sparare contro il peschereccio
«Ariete» i militari della Guardia di finanza sono scesi sottocoperta. È
l’incredibile dettaglio che emerge dai primi atti raccolti dai
funzionari del Viminale incaricati di svolgere accertamenti per capire
che cosa sia davvero accaduto domenica pomeriggio e stabilire se le
procedure siano state rispettate. Mentre dalla motovedetta partiva la
sventagliata, i finanzieri sono dovuti uscire di scena perché questo
prevede l’accordo firmato dai due Paesi. Non solo. Il trattato assegna
loro compiti di «supporto e addestramento». E vieta che possano
«eseguire controlli sui mezzi navali individuati » e impone che salgano
a bordo «in abiti civili, scevri da ogni segno distintivo».
Attraverso gli ufficiali di collegamento che si trovano a Tripoli, la
commissione guidata dal prefetto Rodolfo Ronconi ha acquisito le
testimonianze dei due sottufficiali che insieme ai quattro «tecnici»
erano sulla motovedetta. Secondo il loro racconto «il motopesca è stato
avvistato a 30 miglia dalla costa verso le 18 e subito gli è stato
intimato di fermarsi». «Ariete» non ha obbedito all’ordine e anzi ha
cercato di allontanarsi il più possibile. I libici hanno dunque deciso
di insistere e di mettersi all’inseguimento. «Il primo avviso - hanno
dichiarato i militari italiani - è stato inviato con messaggi acustici,
il secondo via radio in lingua inglese, il terzo con messaggi ottici». È
a questo punto che uno dei finanzieri avrebbe deciso di avvisare il
comandante di «Ariete» — ancora una volta via radio—delle inevitabili
conseguenze. «Quando ci siamo resi conto che non avevano intenzioni di
fermarsi — avrebbe spiegato il finanziere — abbiamo deciso di avvertirli
che i libici erano determinati a fare fuoco. I militari che erano con
noi a bordo della motovedetta erano pronti ed è stato in quel momento,
cioè quando sono partiti gli spari ad altezza di scafo, che siamo scesi
sottocoperta». Secondo la versione fornita dai libici «il comandante
della motovedetta ha deciso di intervenire tentando l’abbordaggio perché
gli occupanti del peschereccio stavano commettendo un reato: erano
entrati in acque internazionali per la pesca di frodo». È proprio questa
la violazione più evidente del trattato bilaterale visto che più volte
nel testo si ribadisce come il «pattugliamento marittimo viene
effettuato ai fini di contrastare l’immigrazione clandestina». Non c’è
alcuna deroga, non è possibile intervenire se non per effettuare
attività di «controllo, ricerca e salvataggio».
Libia, i colpi sul peschereccio italiano
Già questa mattina il capo della polizia Antonio Manganelli dovrebbe
riferire al ministro dell’Interno i primi risultati dell’indagine
amministrativa. L’intesa italo- libica specifica che «gli italiani in
missione sono sottoposti alle leggi del Paese ospitante e non possono
essere chiamati a rispondere di quanto commesso da altri ». E questo
porterebbe ad escludere che i finanzieri possano essere indagati per un
eventuale favoreggiamento nel reato di tentato omicidio ipotizzato dalla
procura di Agrigento. Rimane però il problema delle regole di ingaggio e
dunque del ruolo che è stato loro assegnato.
In queste ore la Farnesina ha ribadito la necessità di chiarire in
maniera netta come le motovedette debbano essere utilizzate soltanto
nell’attività legata all’immigrazione clandestina. Un modo per evitare
eventuali contestazioni in sede europea riguardo alle violazioni sui
trattati relativi alla pesca, ma anche alla definizione delle frontiere
marittime. Discorso più complesso riguarda i compiti assegnati ai
finanzieri che salgono a bordo.
Il Viminale non appare propenso a modificare lo status di «osservatori
e addestratori» per evitare che poi si possa chiedere ai nostri militari
di avere un ruolo operativo durante le attività effettuate in mare,
comprese quelle di respingimento che avvengono in acque internazionali.
Ma è lo stesso prefetto Manganelli a chiarire che «una decisione sarà
presa al termine degli accertamenti in corso». E chissà se già questa
sera se ne parlerà durante il ricevimento organizzato all’ambasciata
libica per festeggiare l’anniversario della Rivoluzione che nel 1969 ha
portato Gheddafi al potere che vede tra gli invitati numerosi esponenti
delle istituzioni italiane.
Fiorenza Sarzanini
15 settembre 2010